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L’Avvocato in Mediazione: Errori da Evitare per Essere Davvero Efficaci

Il ruolo dell’avvocato in mediazione è spesso sottovalutato o, peggio, frainteso. Troppo spesso si ritiene che la mediazione sia una fase interlocutoria e che il vero “gioco” si giochi poi in giudizio. Questo approccio riduttivo è pericoloso, perché priva il cliente di una vera opportunità di risoluzione e rischia di compromettere il buon esito della procedura. L’avvocato, invece, può fare la differenza: può aiutare il cliente a costruire una soluzione, orientare il dialogo e proteggere i suoi interessi. Ma per farlo, è necessario evitare alcuni errori molto comuni.

  1. Pensare che si tratti solo di una formalità

Il primo errore è considerare la mediazione come una mera formalità da “sbrigare” per poi andare in giudizio. Questa convinzione porta a una partecipazione passiva, senza una vera strategia. L’avvocato si limita a presentare le posizioni già espresse negli atti e non si prepara al confronto. Ma la mediazione non è un’udienza preliminare: è un luogo dove si può realmente risolvere il conflitto. E chi arriva impreparato, o con l’idea di perdere solo tempo, rischia non solo di sprecare l’occasione, ma anche di danneggiare il proprio cliente.

  1. Adottare un atteggiamento troppo difensivo o aggressivo

In mediazione, l’avvocato deve tutelare il cliente, certo, ma con uno stile diverso da quello processuale. L’obiettivo non è convincere un giudice, ma trovare un terreno comune con l’altra parte. Un tono eccessivamente polemico, o una rigida elencazione delle ragioni proprie e dei torti altrui, può irrigidire la controparte e chiudere ogni possibilità di dialogo. Allo stesso modo, mostrarsi troppo remissivi per “chiuderla in fretta” può danneggiare gli interessi del cliente. La chiave è trovare un equilibrio tra fermezza e apertura, tra protezione e capacità di ascolto.

  1. Confondere le posizioni con gli interessi

Altro errore tipico: insistere sulle posizioni espresse fin dall’inizio, senza considerare gli interessi sottostanti. La mediazione è il luogo dove si può andare oltre le richieste formali e cercare soluzioni che soddisfino i bisogni reali delle parti. Ma se l’avvocato si limita a ribadire “il mio cliente vuole 20.000 euro”, senza esplorare cosa c’è dietro quella richiesta, rischia di bloccare il negoziato. Spesso, dietro una somma pretesa c’è un’esigenza di sicurezza, di riconoscimento, di recupero di una relazione o di salvaguardia di una reputazione. Portare questi interessi nel dialogo, senza esporre il cliente a rischi inutili, è una competenza preziosa.

  1. Trascurare la preparazione del cliente

La mediazione è uno spazio in cui il cliente ha un ruolo attivo. Non è un testimone, né un soggetto silente. Deve sapere cosa aspettarsi, come intervenire, quando parlare. L’avvocato che arriva in mediazione senza aver preparato il cliente – senza aver spiegato cos’è la riservatezza, quali scenari si possono aprire, quali margini di trattativa sono accettabili – rischia di lasciare il cliente spaesato e impreparato. Peggio ancora, il cliente potrebbe sabotare involontariamente la mediazione, con uscite impulsive o atteggiamenti che rendono impossibile qualsiasi accordo. La preparazione è parte della difesa, non un orpello.

  1. Non saper utilizzare la riservatezza a vantaggio del cliente

Uno dei pilastri della mediazione è la riservatezza. Ciò che si dice nel corso dell’incontro non può essere riportato in giudizio. Questo consente all’avvocato – e al cliente – di “provare” soluzioni, fare ipotesi, esplorare vie d’uscita senza il timore che ciò venga usato contro di loro. Eppure, molti avvocati si muovono in mediazione come se fossero già in aula: non concedono nulla, non propongono nulla, temono che ogni parola sia un’arma. Così facendo, sprecano una delle opportunità più preziose del procedimento: la possibilità di ragionare senza vincoli, in un ambiente protetto.

  1. Mancare di creatività nel cercare soluzioni

Il diritto fissa confini, ma la mediazione permette di superarli, nel rispetto della volontà delle parti. Un buon avvocato in mediazione non si limita a chiedere o negare, ma immagina. Se la controparte non può pagare subito, si può proporre una rateizzazione? Se il danno è in contestazione, si può pensare a un indennizzo parziale, accompagnato da un altro vantaggio (uno sconto commerciale, una proroga contrattuale, un nuovo incarico)? L’accordo può includere condizioni non strettamente giuridiche, ma preziose per il cliente? L’avvocato che sa usare la propria competenza per costruire soluzioni è un alleato strategico, non solo un rappresentante.

  1. Non valorizzare il momento dell’accordo

Quando l’accordo si profila all’orizzonte, serve attenzione. Non bisogna avere fretta, né trattarlo come un atto secondario. È il momento in cui si consolidano gli equilibri trovati e si trasformano in obblighi chiari e rispettabili. L’avvocato deve assicurarsi che l’accordo sia:

  • chiaro,
  • completo,
  • eseguibile,
  • coerente con le volontà espresse.

Trascurare un dettaglio in questa fase può rendere l’accordo inutilizzabile o, peggio, dare origine a un nuovo contenzioso. È anche il momento per verificare se le parti vogliono dare efficacia esecutiva all’intesa o se occorre un passaggio ulteriore (come l’omologazione). L’avvocato deve vigilare e guidare.

Essere in mediazione, non solo esserci

Essere presenti in mediazione non significa semplicemente “esserci”, ma essere nel processo, ascoltare, proporre, adattarsi, proteggere senza irrigidire. È un ruolo complesso, che richiede competenze giuridiche, relazionali e strategiche. L’avvocato che considera la mediazione un’appendice del processo rischia di sprecarne il potenziale. Quello che la considera uno strumento autonomo e potente, invece, diventa una risorsa decisiva per il proprio cliente.

La mediazione non chiede all’avvocato di rinunciare alla propria funzione difensiva, ma di esercitarla in un modo più moderno, più aperto, più efficace. Chi lo capisce, vince due volte: in mediazione, e nel rapporto con il proprio assistito.

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